La detartrasi fu inventata da Tomás de Torquemada intorno al 1450, almeno credo. Sicuramente va molto di moda a Guantanamo.
Adagiato sulla poltroncina motorizzata del dentista, una sedia talmente mobile da essere probabilmente la vincitrice indoor di kamasutra del 2005, pensavo a quanto sarebbe stato meno fastidioso ricevere due o tre tratti di corda da un inquisitore, rispetto all’infinito sferragliare della punta per la detartrasi tra i miei denti.
De-tar-tra-si, anche la parola in sé e un’accozzaglia cacofonica di sillabe e vocali. Quell’incidente centrale di tre consonanti, "rtr", fu probabilmente l’unico suono che riuscì a pronunciare il primo sperimentatore della pulizia dentale dopo essere stato dal dentista. Forse quel figuro si aggira ancora per i vicoli bui di qualche città con le sue gengive sanguinanti, ripetendo senza sosta «rtr – rtr – rtr – c’hai spicci? – rtr – rtr – rtr…»
Non ho particolarmente paura del dentista. Quando inizio la lambada sulla seggiola motorizzata penso ai dentisti di un tempo, quelli che magari usavano le stesse tenaglie per ferrare un cavallo per toglierti un dente, mentre altri due nerboruti elementi ti tenevano ancorato allo schienale di una sedia. Almeno nei paesi avanzati, non si provano più i dolori lancinanti di un tempo, eppure molta della strumentazione in mano ai dentisti ricorda molto gli aggeggi infernali utilizzati dai cavadenti di una volta.
Trapani, pinze, specilli e compagnia bella agiscono ancora direttamente sul dente. Le tecnologie al laser e agli ultrasuoni ci sono, ma stentano ad affermarsi per il loro elevato costo, anche di manutenzione. Così quell’inconfondibile gusto di osso bruciato, sangue, plastica, anestetico, colluttorio e resine per le otturazioni continuano a perseguitare il nostro palato, lasciandoci spesso per giorni il dolce ricordo (!) dello "ziiiiiiin" lieve e inesorabile del trapano che ci ha maciullato il dente.
Sarà l’anestesia, il rumore del compressore che aziona trapano e aspirasaliva, ma quando sono adagiato su quella comoda poltrona mi prende spesso un sonoro abbiocco. Un dolce stordimento che, unito alla mia ipotensione, mi bradipizza rendendomi un bipede dentato apatico, che riesce giusto a strozzarsi con la mitica catenella di metallo (gelata) che tiene il bavagliolo intorno al collo.
Pensandoci bene, una cosa dal dentista la temo eccome: il preventivo.
Pierbacco
Sono del 1949 d.C. e, quand’ero piccolo, mi trascinavano da un dentista che era un cane. Seduto su di una poltrona non dissimile da quella del barbiere, sentivo cigolare le infinite carrucole sulle quali correva il cavo che imponeva il movimento rotatorio al trapano.
Il dentista teneva gli strumenti in un bicchiere pieno di alcol denaturato. Era un ignorante, perché questo tipo di alcool è un pericoloso batteriostatico. Quando estraeva lo specchietto dal bicchiere, non lo scuoteva e mi spruzzava in bocca qualche disgustosa goccia del prodotto.
Ho trascorso anni con il timore di andare dal dentista e solo nell’ultimo decennio l’ho vinto. In effetti, al giorno d’oggi, si soffre solo quando si paga.
Pierbacco