Dopo una difficile mediazione, Ciad e Zambia sono finalmente riusciti nel loro intento di creare un ampio consenso tra gli stati africani per imporre un divieto di vendita dell’avorio per i prossimi nove anni. Il documento, proposto "a nome dell’Africa" dai due stati, è stato prontamente ratificato dalla CITES (Convenzione sul Commercio internazionale delle Specie minacciate), un forum permanente delle Nazioni Unite cui aderiscono oltre 170 paesi.
L’accordo entrerà in vigore non appena saranno terminate le consegne in Giappone delle ultime 50 tonnellate di avorio, provenienti da Sudafrica, Zimbabwe, Botswana e Namibia. Formalmente quest’ultimo carico è costituito esclusivamente da avorio ricavato da animali deceduti per cause naturali. La CITES non ha avuto da eccepire su quest’ultima consegna, rilevando l’atteggiamento costruttivo degli stati africani implicati in questi ultimi anni. Le politiche di controllo contro la caccia di frodo paiono funzionare e le colonie di pachidermi si stano lentamente ripopolando.
Secondo molte ONG e associazioni ambientaliste la situazione è molto distante da quella prospettata dalla CITES. Ogni anno 20.000 elefanti vengono abbattuti per ricavare avorio che, attraverso oscuri passaggi al mercato nero, raggiunge molti stati asiatici e occidentali non autorizzati all’importazione. L’atteggiamento di alcuni stati africani confermerebbe ciò che affermano le ONG. In particolare lo Zimbabwe continua a distinguersi come il paese con il più alto tasso di transazioni illegali per l’avorio.
La tregua di 9 anni potrà costituire un’ottima opportunità per centinaia di colonie di elefanti solo se gli stati africani vigileranno severamente sulla caccia di frodo. Questa sacrosanta fase di "proibizionismo" rischia infatti di acuire ulteriormente il fenomeno del bracconaggio, specie laddove esistono connivenze tra autorità locali e cacciatori abusivi.
C’è da rilevare, infine, che il provvedimento africano ratificato dal CITES non tiene conto dell’altra faccia del problema: i paesi importatori. Intervenire sulla domanda è la sfida che in nove anni le Nazioni Unite possono, e probabilmente devono, vincere.
donnanonmoderna
Ce l’abbiamo fattaaaaaaaaaaaaaaaa
niente TRIVELLE in tutta la zona dell’UNESCO….GRAZIEEEEEEEEEEE
Carmela
bourbaki
la vendita di avorio andrebbe bandita tout court. purtroppo come si è già sperimentato in passato, le vendita una tantum come quella al Giappone, che è formidabile nell’aggirare le restrizioni alla caccia e al commercio delle specie protette, non fanno che alimentare il mercato illegale e la caccia di frodo. senza contare che un buon canale di vendita poi è offerto da ebay che solo dopo molte pressioni pare si sia finalmente deciso a vietarne le aste.