Tra enormi esplosioni di gas interstellare e tempeste di polveri, a 66 milioni di miliardi di chilometri da noi continuano a formarsi e a nascere nuove stelle. La Nebulosa Aquila non è certo l’unico crogiolo di stelle dell’Universo, ma è comunque uno degli spazi di Spazio che conosciamo meglio grazie alle osservazioni compiute negli ultimi decenni e in parte rese possibili dalle lenti e dalle fotocamere di Hubble, il telescopio spaziale che orbita intorno alla Terra e che da 20 anni scatta fotografie di posti che prima apparivano come flebili puntini di luce nel buio placido e sterminato del cosmo. I “Pilastri della Creazione” è forse l’immagine più conosciuta e spettacolare realizzata in questi anni da Hubble: mostra tre gigantesche colonne di gas e polveri nella Nebulosa Aquila e ha permesso di capire meglio come si formano le stelle, dando anche qualche indizio su come si originò il Sole, di sicuro la stella più importante per noi qui, sul nostro pallido puntino azzurro. È un’immagine meravigliosa e potente – soprattutto nella sua nuova versione ad alta definizione – e molto del suo fascino è dovuto alle innumerevoli sfumature di colore, dal rosa al blu delle polveri, ai rossi dei gas accesi dalle stelle in secondo piano, ai contorni opalescenti dei pilastri. Una foto coloratissima realizzata da un telescopio che non vede i colori, che scatta solo immagini in bianco e nero.
Come moltissimi altri satelliti e sonde inviate nello Spazio, gli strumenti di Hubble hanno sensori per scattare fotografie solamente in bianco e nero, molto diverse da quelle che vengono poi diffuse per raccontare le scoperte e che siamo abituati a vedere. Scattandole in toni di grigio si ottengono immagini meno ingombranti, quindi che richiedono meno banda per essere trasmesse, ma soprattutto si possono cogliere meglio alcuni dettagli grazie alla capacità dei sensori di lavorare con diverse lunghezze d’onda della luce, oltre lo spettro del visibile (cioè della parte di luce che riusciamo a vedere, con tutti i colori dell’arcobaleno).
Le fotografie scattate nello spazio devono essere quindi colorate in un secondo momento, sulla Terra, basandosi sui dati raccolti dagli stessi strumenti quando le hanno realizzate. In molti casi una foto a colori di Hubble si ottiene mettendo insieme tre diverse fotografie in toni di grigio dello stesso soggetto, realizzate prendendo in considerazione le lunghezze d’onda del rosso, del verde e del blu. Sapendo quale filtro è stato utilizzato, ogni immagine in toni di grigio viene virata in uno dei tre colori. Le tre immagini sono poi fuse insieme per ottenere tutti gli altri colori (una cosa analoga avviene sugli schermi di tv, computer e altri aggeggi: la combinazione di punti verdi, blu e rossi ricrea tutti gli altri colori). Poi si interviene sull’immagine a colori per bilanciarla meglio e renderla più verosimile, cercando di avvicinarsi il più possibile a come vedremmo il soggetto guardandolo dall’oblò di un’astronave.
Non sempre comunque le immagini con colori realistici sono la soluzione ideale per capire come caspita è fatta una nebulosa e da quali gas è avvolta. In alcuni casi si usano falsi colori per mettere in evidenza una caratteristica del soggetto, oppure si aumenta la saturazione dell’immagine per rendere più distinguibili dettagli altrimenti difficili da osservare. In questo caso il lavoro di ricostruzione dei colori può essere molto creativo e allontanarsi dalla realtà o, per dirla meglio, da quella che siamo abituati a chiamare realtà sulla base delle cose che i nostri occhi riescono a vedere.