Domani vado a votare e voto il Partito Democratico.
Voterò con un misto di rassegnazione e scarsa convinzione, indubbiamente anche per mancanza di altre valide alternative. Se avesse vinto Matteo Renzi, candidato che invece ho votato con convinzione alle primarie lo scorso anno, ora avrei forse qualche dubbio in meno nell’affidare (ancora una volta) il mio voto al PD. E forse con la sua vittoria ci saremmo evitati la campagna elettorale più brutta dei tempi recenti, lo sconfortante ritorno più ripresa elettorale annessa di Silvio Berlusconi, la candidatura – seppure coraggiosa – di Mario Monti e una crescita impressionante del Movimento 5 Stelle. Ma le cose sono andate diversamente e del resto se il mio bisnonno avesse avuto le ruote eccetera.
Quando Mario Monti ha annunciato la propria candidatura ho guardato con interesse alla sua proposta, convinto che fosse sinceramente nata per dare un presidio alle cose fatte nell’ultimo anno (che abbiamo fatto noi, tutti, come sanno le nostre buste paga e compagnia). Cose durissime e difficili, che ci hanno evitato di affogare sul serio. Poi Monti ha spiegato che si sarebbe presentato insieme con Casini e Fini, e le cose per me si sono complicate. Parlare di rinnovamento della politica, di riforme e quant’altro con alle spalle le ombre di due dei politici che sono tra quelli rimasti in assoluto più tempo in Parlamento e che, nonostante ciò, si sono dimostrati incapaci di fare quelle riforme mi è sembrato e continua a sembrarmi stonato. Presentarsi con FLI e UDC è stata un’idea sbilenca, conservativa e poco coraggiosa, immagino figlia di un certo calcolo politico, che darà meno frutti di quanto Monti sperasse. E mi spiace per persone brave e competenti come Marco Simoni e Andrea Romano.
Per qualche settimana ho pensato di superare il problema votando Lista Civica alla Camera, dove Monti si presenta da solo, e PD al Senato dove la lista di Monti è unica con Casini e Fini. Dopo lunga riflessione, la più complicata che ricordi da quando posso votare, sono però arrivato alla conclusione che non avesse senso fare così: sono uno di quelli che ancora crede nelle vocazioni maggioritarie, mi piacerebbe un sistema bipartitico o per lo meno un bipolarismo moderno, stabile e affidabile come c’è in altri paesi. Il centro, insomma, no.
Voto PD anche se mi ha messo primi in lista in Piemonte Cesare Damiano e Vannino Chiti, che sono distanti anni luce dalla mia idea di rinnovamento.
Voto PD perché Pier Luigi Bersani è fino a prova contraria persona credibile e onesta. E avercene.
Voto PD perché è l’unico partito grande, con un progetto credibile e che esisterà ancora tra cinque anni, mentre gli altri vai a sapere.
Voto PD anche se ha fatto una campagna elettorale dimenticabile, sulla difensiva e con messaggi tremendi come quello del giaguaro da smacchiare (davvero, anche basta).
Voto PD perché confido che Pier Luigi Bersani abbia capito che è l’ultimo giro per la sua generazione, che il partito ha davanti un difficile compito di transizione e di passaggio morbido – non traumatico (che sarebbe stato a mio modo di vedere più efficace) come sarebbe stato con una vittoria di Renzi – verso qualcosa di diverso, che chiuda con una certa idea ormai paludata e inadeguata ai tempi attuali di sinistra.
Voto PD perché non c’è alternativa e perché una certa rotta va tenuta, anche se la tentazione di fare una barca nuova dopo il disastro di un naufragio è molto forte.
Voto PD perché è l’ultima volta che lo faccio se non ci sarà il cambiamento, che penso sia più probabile da realizzare se intanto la coalizione di Bersani sarà al governo.
Voto PD senza grande convinzione, con rassegnazione e sentendomi come quelli che cercano da anni di smettere di fumare e si dicono tanto è l’ultima.
Voto PD, per me è l’ultima chiamata e spero che facciano in modo di meritarselo.