In oltre 40 anni decine di giornalisti lo chiesero ad Armstrong, ma mi sono convinto che il primo uomo sulla Luna non abbia mai risposto sinceramente a quel tipo di domanda. E, ora che non c’è più, non sapremo mai che cosa passò davvero nella testa di una persona che sapeva di essere a un passo dall’entrare nella storia, grazie alla discesa su una scaletta distante almeno 360mila chilometri dalla Terra. A che cosa pensò veramente Armstrong mentre tutto il mondo ascoltava la sua voce e le sue comunicazioni con il centro di controllo della NASA sulla Terra?
Pensò alla sua infanzia a Wapakoneta in Ohio? Ai rischi che si era preso nell’affidare la sua vita e quella dei suoi compagni astronauti a una scatoletta di metallo ormai così lontana da casa? A cosa pensò veramente Armstrong mentre pronunciava la frase che lo avrebbe reso celebre in tutto il mondo, quella del piccolo passo per un uomo?
Mi piace pensare che lassù, a centinaia di migliaia di chilometri dalla Terra, Armstrong abbia ripensato alla prima volta in cui si staccò dal suolo. Era un altro 20 luglio, non quello del 1969, ma quello del 1936. Aveva sei anni e con il padre volò sull’Oca di latta, un Ford Tri-Motor prodotto dalla Ford a partire da metà degli anni Venti. Fu il suo primo volo e difficilmente all’epoca immaginò che un giorno sarebbe arrivato sulla Luna, con un’aquila al posto di un’oca nel simbolo della sua missione spaziale.
Pensò a tutto questo, Armstrong, quando scese dalla scaletta. O, forse, non pensò proprio a nulla.