Ieri sera a Report si sono occupati dell’aspartame, uno dei più diffusi e utilizzati dolcificanti artificiali al mondo, chiedendosi se possa essere dannoso per la salute. Per molti versi, la puntata ricordava quella dello scorso novembre dedicata ai telefoni cellulari, in cui fu dato ampio spazio ai sostenitori della loro presunta pericolosità, trascurando alcune evidenze che avrebbero reso più complicata la dimostrazione della tesi dell’inchiesta. Seguendo questo sistema, nel caso dell’aspartame ne è venuta fuori una puntata a tratti insinuante e un poco inconcludente, anche se va comunque riconosciuto ai suoi autori di aver riportato l’attenzione su un tema su cui si discute da decenni e che è diventato molto complesso e difficile da raccontare.
La prima parte dell’inchiesta ha mostrato come l’aspartame ottenne l’approvazione negli Stati Uniti per essere utilizzato negli alimenti, dopo la sua fortuita scoperta in laboratorio. Niente di nuovo o inedito: l’approvazione del dolcificante artificiale fu una delle più complesse e travagliate tra quelle gestite dalla Food and Drug Administration (FDA). La società che brevettò il prodotto fu accusata tra gli anni Settanta e Ottanta di aver falsificato i dati delle proprie ricerche sulla sicurezza dell’aspartame e ci furono anche discussioni e polemiche per presunti conflitti d’interessi con la FDA. Questi aspetti della vicenda sono stati messi molto in evidenza nella puntata di ieri, mentre hanno avuto meno spazio e risalto le iniziative, scientifiche e legali, che furono avviate negli Stati Uniti per verificare la fondatezza dei timori legati alla sostanza chimica e che smontarono le accuse legate all’approvazione dell’aspartame. La questione fu anche affrontata dalla sezione investigativa del Congresso (Government Accountability Office), che consultò 67 scienziati sulla materia e la stragrande maggioranza (55) non espresse particolari preoccupazioni.
Forse per ragioni di tempo, Report non ha dato poi spazio alle tante indagini scientifiche e studi realizzati da centri di ricerca, singoli ricercatori e organismi di controllo. Lavori che hanno verificato (su basi scientifiche, non decretandolo e basta) che in dosi ragionevoli l’aspartame non costituisce un pericolo per la salute. Per citarne solo alcune, ci sono la ricerca di Harriet H. Butchko e colleghi del 2002, lo studio di B. A. Magnuson e colleghi del 2007, il rapporto della European Food Safety Authority (EFSA) del 2010.
Invece di citare le evidenze emerse in quelle ricerche, l’inchiesta si è concentrata – nella seconda parte – sui risultati ottenuti dalla Fondazione Ramazzini, un istituto di ricerca sui tumori di Bologna, secondo cui l’aspartame potrebbe essere cancerogeno alle dosi di sicurezza indicate dalle istituzioni sanitarie. Anche in questo caso non si tratta di nulla di nuovo, ma di una serie di studi condotti nei primi anni del Duemila e già presi in considerazione e scartati dalla FDA e dalla EFSA perché ritenuti poco affidabili. Nel suo intervento dallo studio, Milena Gabanelli ha ricordato (semplificando molto, la storia fu più complessa e con più protagonisti internazionali) che in passato il Ramazzini identificò un importante agente cancerogeno, il cloruro di vinile, e che quindi lo studio della Fondazione sull’aspartame si meriterebbe una maggiore attenzione. Solo che la ricerca scientifica non funziona così. Non si basa su quello che ha fatto prima il centro di ricerca dove lavori, ma su quello che hai cercato di dimostrare nel tuo studio che sarà poi rivisto, smontato e rimontato da altri ricercatori. Se non ricordo male, la ricerca del Ramazzini fu presentata a una conferenza stampa saltando il meccanismo classico, e più affidabile, della precedente pubblicazione su una rivista col sistema del peer-review, che consente ad altri ricercatori di verificare la bontà del nuovo studio proposto prima che sia diffuso.
Nella puntata si è anche sostenuto che dovrebbero essere le autorità come la FDA e la EFSA a indicare alle aziende centri di ricerca affidabili per verificare la potenziale pericolosità delle nuove sostanze, evitando così il meccanismo per cui sono le società a occuparsi di far realizzare gli studi da presentare agli organismi di controllo. Non è però chiaro perché un sistema simile dovrebbe offrire più garanzie. Nella trasmissione si faceva intendere che l’attuale sistema porta alla produzione di studi di parte, perché le aziende hanno il pieno interesse a far approvare i loro prodotti. È vero, ma è altrettanto vero (e sarebbe stato più onesto ricordarlo) che le medesime aziende vogliono poter vendere il più a lungo possibile i loro prodotti e con limitazioni chiare da subito, condizione che non può essere ottenuta con studi poco accurati o volutamente “di parte”. È bene anche ricordare che le ricerche sulle sostanze in attesa di approvazione vengono controllate e vagliate da panel di tecnici ed esperti della FDA e dell’EFSA, che possono richiedere nuovi studi o approfondimenti a carico delle società. E proprio la travagliata storia iniziale dell’aspartame ne è la dimostrazione.
L’inchiesta di Report contestava anche l’impossibilità di farsi un’idea chiara su quanto aspartame sia contenuto nei cosiddetti cibi e bevande dietetici. In effetti la quantità precisa non viene indicata, ma come veniva ammesso anche nella puntata è molto difficile superare i limiti giornalieri consigliati per l’assunzione della sostanza. (Ed è bene ricordare che ci sono limiti giornalieri consigliati per qualsiasi cosa ingeriamo, acqua compresa.) Per l’EFSA il limite è di 40 milligrammi per chilogrammo, per la FDA la soglia è più alta e pari a 50 milligrammi per chilogrammo. Un adulto di 75 chili dovrebbe bersi almeno venti lattine al giorno di bevande con aspartame per arrivare alla soglia indicata dalla FDA.
La quantità naturalmente si riduce nel caso dei bambini, ma anche considerando un peso di 30 chilogrammi occorrerebbe rimpinzare un ragazzino di prodotti con aspartame da mattina a sera per raggiungere il limite. In uno dei passaggi più controversi della puntata di ieri (anche dal punto di vista deontologico) è stato intervistato un ragazzino, che deve assumere particolari medicinali ogni giorno, ed è stato ricordato che in molti farmaci sono presenti dolcificanti artificiali come l’aspartame. Le quantità, però, sono minime e enormemente al di sotto di qualsiasi limite di presunta pericolosità, compreso quello indicato dal contestato studio del Ramazzini. Non ho capito che senso avesse intervistare quel ragazzino ai fini dell’inchiesta, che faceva un po’ l’effetto dell’allarmato “chi penserà ai nostri poveri bambini?”.
Infine, l’inchiesta di Report si è occupata dell’aspartame in relazione alle diete e alla perdita di peso, riprendendo anche in questi casi ricerche scientifiche ormai datate e messe da parte dopo diverse revisioni. Nella complessa storia del dolcificante artificiale, saltarono fuori alcuni studi che mettevano in allarme sulla possibilità che l’aspartame potesse fare ingrassare e portare all’obesità. Forse si sarebbe potuto spiegare che i pochi studi sul presunto effetto ingrassante dell’aspartame sono stati analizzati e smontati da molte ricerche negli ultimi dieci anni, arrivando alla conclusione che non ci sono dati per poter sostenere che l’aspartame faccia prendere peso.
La razza umana non si estinguerà a causa dell’aspartame. Se bevete 20 lattine di bibite light al giorno, il problema è un altro.