Da una settimana il consigliere comunale Alberto Musy dell’UdC è ricoverato in coma farmacologico alle Molinette di Torino. La settimana scorsa è stato colpito da diversi proiettili sparati in un agguato sotto la sua abitazione, condotto da un uomo che è poi fuggito e che non è stato ancora identificato. La vicenda, anomala e con ancora punti da chiarire, è stata seguita con molto interesse da giornali e telegiornali, che almeno in un paio di casi hanno dimostrato di non avere molta dimestichezza con i limiti del diritto di cronaca (che sono identificati, tra le altre cose nella legge professionale n.69 del 1963 e nel codice di deontologia dei giornalisti).
Il giorno dopo l’agguato, alcuni giornali hanno pubblicato una fotografia di Musy intubato e su una barella mentre veniva trasportato nei corridoi dell’ospedale. L’immagine era chiaramente “rubata”, non tutelava “la personalità altrui”, probabilmente violava anche qualche norma sulla privacy e non aggiungeva nulla al racconto giornalistico dei fatti. In particolare, un quotidiano nazionale ha pubblicato la foto in grande evidenza su due pagine.
Nei giorni seguenti, come ha già segnalato Luca Sofri sul suo blog, Studio Aperto ha mandato in onda un servizio molto istruttivo su un certo modo di pensare il giornalismo. Nel filmato (la parte di cui sto parlando inizia intorno al minuto quattro), viene inquadrata la moglie di Musy mentre esce di casa per raggiungere la sua auto. La giornalista di Studio Aperto le corre dietro e inizia a proporle una raffica di domande al volo senza presentarsi. “Lei è spaventata?”, “Come sta suo marito?”, “Ma lei l’ha visto?”, cui la signora Musy preferisce non rispondere. Entra in auto e prova a chiudere la portiera, ma la giornalista le impedisce di farlo infilando nell’abitacolo il suo microfono. Insiste con le domande, e la signora Musy continua a ripetere gentilmente che non ha niente da dire.
Sull’opportunità delle domande e sul comportamento della giornalista ognuno è libero di farsi l’idea che preferisce; per completezza segnalo che in passato la stessa raccontò a modo suo il primo matrimonio celebrato in Abruzzo dopo il terremoto del 2009 e le cose non andarono benissimo, come raccontai all’epoca. Non voglio comunque personalizzare: il problema di come vengono raccontati i fatti di cronaca nera nel nostro paese c’è e forse bisognerebbe iniziare a discuterne.