«L’ordine esteriore riflette l’ordine interiore.» Ce lo ripeteva quasi tutti i giorni, la maestra, quando aprivamo i quaderni per iniziare a disegnare gli insiemi o scrivere le infinite pagine di lettere in corsivo. La mia bestia nera era l’acca maiuscola: sul modello da copiare era un’opera d’arte degna di un amanuense, ma a ogni tentativo di riprodurla fallivo miseramente. Poi imparai a tracciarne solo le linee essenziali e ad aggiungere in un secondo momento riccioli e fronzoli; funzionava e non fui mai scoperto. Applicai lo stesso sistema per molte altre lettere e forse è per questo motivo se ora scrivo in corsivo come un sismografo impazzito.
La routine degli esercizi in classe veniva brevemente interrotta a metà mattina dall’arrivo della bidella. Bussava e, senza attendere l’avanti della maestra, entrava portando una strana scatola scoperchiata marrone scuro. Al suo interno c’erano piccoli cartoni del latte e vasetti di yogurt per me e per gli altri 24 miei compagni di classe. Con gesto solenne la maestra prendeva in consegna la scatola e la appoggiava sul davanzale, avendo cura che non fosse troppo vicina allo spiffero della finestra e non troppo lontana dal termosifone. Lì, in quella terra di nessuno sul marmo del davanzale, c’era il microclima ideale per far lievemente intiepidire latte e yogurt evitando che ingolfassero i nostri stomaci.
Al momento dell’intervallo, la maestra si trasformava per qualche minuto in lattaia e distribuiva la merenda. Poi si tornava al banco per consumarla, condizione minima e necessaria per poter giocare dopo con gli altri compagni. Erano gli ultimi anni dei ruggenti Ottanta e non escludo che con latte e yogurt le classi della mia scuola e delle altre elementari di Torino abbiano contribuito all’aumento del debito pubblico del nostro paese. L’iniziativa fu in seguito abbandonata, ufficialmente perché non si poteva garantire la corretta conservazione dei prodotti in classe (non erano tutti abili come la mia maestra col microclima del davanzale), e probabilmente perché gestire la faccenda costava troppo. Il momento della merenda fu così riconsegnato alla responsabilità dei genitori, dei panettieri nel circondario, del Mulino Bianco e della Kinder.
Da qualche anno, il comune di Torino è tornato alla carica proponendo una versione rivista della sua merenda in classe per le elementari che renderebbe fiera Michelle Obama. Abbandonati latte e yogurt, il servizio mense scolastiche della città dà la possibilità alle classi di consumare a metà mattina un frutto come merenda. L’idea è buona e può in effetti tornare utile per educare i bambini (e i genitori) a un’alimentazione più corretta ed equilibrata. Il servizio è facoltativo e spetta a insegnanti e genitori di ogni classe decidere se aderire o meno. Nonostante ci sia questa opzione da diversi anni, per ora poche classi hanno deciso di adottarla, e a leggere sul sito del comune le poche adesioni sembrano incomprensibili:
Il consumo di un frutto a metà mattina, anziché al termine del pasto, non stravolge l’apporto nutrizionale, fornisce il giusto ristoro nel corso della mattinata e non rovina l’appetito. Poiché non esistono difficoltà organizzative per la distribuzione della frutta al mattino, si auspica vivamente un incremento delle adesioni delle scuole, anche solo di una parte delle classi non essendo obbligatorio che sia la scuola intera ad aderire.
In realtà, le difficoltà organizzative ci sono eccome e ricadono principalmente sugli insegnanti. La frutta arriva spesso in classe gelida di frigorifero e non c’è strategia del microclima che tenga. I frutti sono di frequente acerbi o di qualità insoddisfacente. Inoltre, le classi che decidono di aderire ricevono la frutta a metà mattina, ma questa scelta esclude la possibilità di averla anche a pranzo durante la mensa. A volte i menù prevedono pranzi senza frutta, sostituita da un dolce, e in questo caso a metà mattina non viene consegnata nelle classi, quindi i genitori devono ricordarsi di dar qualcosa ai loro bambini che altrimenti restano senza spuntino.
Ai miei tempi (eh) latte e yogurt venivano distribuiti rispettivamente con cannucce e cucchiai di plastica, mentre la distribuzione a metà mattina della frutta non prevede che siano forniti coltellini di plastica, piattini o tovaglioli. Maestre e maestri devono quindi industriarsi per aiutare i bambini a mangiare il loro frutto senza fare disastri, e chi ha alunni di prima o seconda si ritrova a sbucciare frutta come se non ci fosse un domani, mentre dovrebbe essere lì per insegnare (che è una cosa un po’ diversa). Quando le cose vanno bene, in classe arrivano mele e arance e si fa relativamente in fretta e senza danni. Altre volte le cose vanno diversamente: ci fu un giorno in cui a metà mattina la bidella se ne arrivò con un kiwi per ogni bambino. Ci sono insegnanti che da allora faticano a riconoscere i parenti.
Francesco
A mia nipote in classe hanno anche portato pomodori e carote (per fortuna erano carotine, quelle mignon). 🙂
eloisa
perché dici che le insegnanti “dovrebbero essere lì per insegnare” e non per sbucciare la frutta? non è forse da tutte le attività quotidiane che si impara qualcosa? non è questo che dovrebbe fare un’insegnante: educare oltre che istruire? considerare cioè la vita a scuola in tutte le sue forme e in tutti i suoi momenti come esperienza educativa e non solo ciò che è nel programma ministeriale? non può quindi il momento della merenda diventare anch’esso un modo per insegnare e non una pausa dell’insegnamento giustificata come “giusto apporto nutrizionale”?
nella scuola d’infanzia comunale di mia figlia il momento del pasto è considerato un momento educativo. a turno un bambino al giorno fa da “cameriere” agli altri. imparano a contare cercando di capire quanta frutta distribuire. fanno esperienza di concetti come il rispetto degli altri e delle cose, dei tempi e dei modi, anche mangiando. e le insegnanti (e le cuoche) sostengono – sostengono, stimolano, propongono – questi apprendimenti che avvengono in un momento per nulla scontato, come quello della merenda o del pranzo.
Roberta
La frutta a scuola e’ 1esperienza bellissima! Certo, come maestra, mi occupo di sbucciare la frutta a chi non la mangerebbe altrimenti, spremo le arance se intere non piacciono…insomma mi occupo di rendere questo momento un momento importante.
astrid
quand’ero alle elementari (prima metà degli anni ottanta) ci fu un periodo in cui la merenda prevedeva la frutta, però ce la portavamo da casa, secondo un calendario settimanale stabilito dalle maestre. non ricordo problemi particolari per sbucciare i frutti (mia madre incideva col coltello la buccia dell’arancia così veniva via più facilmente, la banana è facile, la mela si può portare già lavata e si mangia con la buccia).
mi ricordo ancora che il giovedì c’era la carota 🙂
davide
Io ho frequentato le elementari a cavallo della metà degli anni ’90 e da noi c’era il servizio latte/yougurt tutti i giorni, quindi non devono averlo tolto da molto tempo..
Silvia
Anche da me bottiglietta di latte tapporosso e panino dolce … Torino, fine anni settanta.
Federica
Quando andavo io alle elementari (primi anni 80) non davano proprioniente per merenda, ognuno aveva la sua da casa, ma la nostra maestra inserì nel programma educazione alimentare e da allora la mia merenda diventò o una mela sbucciata o addirittura una carota!
Mi sembra un’iniziativa pregevole, ecco!
Maria Angela
L’anno scolastico scorso anche la mia scuola ha aderito all’iniziativa “frutta nelle scuole” ed anch’io ho sbucciato e spremuto frutta, ma è stata un’esperienza coinvolgente per tutti: maestri e bambini. Non sempre la frutta o la verdura arrivavano puntualmente, abbiamo pazientato… Questo progetto ha permesso a diversi alunni di fare nuove esperienze gustative dato che non avevano mai assaggiato alcuni tipi di frutta o di verdura (es.: Kiwi o finocchi) e ha modificato, seppur modestamente, alcune loro abitudini alimentari. E’ un’esperienza che rifarei….
irene
mio marito non mangia più frutta da quando la maestra delle elementari lo costrinse a mangiare un kiwi tenendolo fermo con l’aiuto di altre due persone… non è possibile demandare alla scuola anche (o solo) quella educazione che dovrebbero impartire i genitori che in questo modo si sento sollevati dal loro ruolo.
tchacky.
Da me a Palermo, elementari classe ’90-’94, assolutamente nulla veniva elargito a nessuno… quantità infinite di calzone al forno, ed io passavo per un salutista mentre i compagnetti affondavano i canini nelle arancine fritte.
Schoereder
La frutta arriva in sacchettini giá lavata e sbucciata. La mela tagliata ed il kiwi nel bastoncino del gelato! Nessun problema per le maestre solo che spesso é tutto molto ma molto acerbo ( ” papá sono buoni solo i mandarini…”).
Acca | CattivaMaestra | il Post
[…] ero l’unico ad avere l’incubo dell’acca maiuscola alle elementari, come ammettevo qui l’altro giorno. Salta fuori che anche Marco Lodoli aveva i suoi problemi con quella lettera, […]