Questa mattina ho letto i giornali sull’iPad come al solito, ma a differenza degli altri giorni quando ho finito di prendermela per certi titoli e ho appoggiato il tablet sul tavolo mi sono soffermato a osservare la mela morsicata che ha sul retro. È nera, in plastica lucida ed è perfettamente allineata con il resto dell’involucro in alluminio. Ho ripercorso il suo contorno con un dito facendo un gesto simile a quello che compie ogni giorno Zhou Xiao Ying per eliminare le imperfezioni dal taglio nell’alluminio dove sarà incastrata la mela nera. Un gesto che Zhou ripete tremila volte in un turno di lavoro di 12 ore in uno degli stabilimenti della Foxconn, il principale assemblatore di dispositivi per Apple e per molte altre aziende tecnologiche del mondo.
Di Zhou e delle migliaia di altri suoi colleghi che ogni giorno mettono insieme gli aggeggi elettronici che usiamo tutti i giorni se ne è parlato molto, nelle ultime settimane, in seguito ad alcune inchieste sulle loro condizioni di lavoro. Martedì al racconto di come funzionano le cose alla Foxconn si è aggiunto un breve reportage realizzato dalla trasmissione Nightline della ABC, che ha ottenuto da Apple il permesso di filmare alcune linee di produzione degli iPad e degli iPhone. La società, criticata per non aver vigilato a sufficienza sulle condizioni dei lavoratori in Cina, ha dato eccezionalmente il proprio consenso vincendo la tradizionale ritrosia a svelare come vengono realizzati i milioni di dispositivi che vende ogni mese. Le telecamere lì dentro, tra gli operai, non ci erano mai entrate prima ed è così che ho scoperto dell’esistenza di Zhou e ho iniziato a vedere con un occhio un po’ diverso il mio iPad, il mio telefono e il computer su cui sto scrivendo.
Usi questi affari immaginando che siano stati messi insieme da robot ipertecnologici, macchinari di altissima precisione che sfornano un dispositivo dopo l’altro, ma non è così. I processi automatizzati servono per costruire le centinaia di componenti che faranno poi funzionare un iPhone o un Mac, ma per metterli insieme serve per forza il lavoro manuale di migliaia di persone. Le linee di produzione mostrate da Nightline sono lunghissime e affollate di lavoratori, molti con meno di venti anni, che si passano di mano i dispositivi aggiungendo con gesti misurati, frenetici e sempre uguali i componenti per turni che possono durare anche 12 ore.
A pranzo hanno due ore di pausa, mangiano nella mensa dello stabilimento e devono pagare una cifra simbolica per i pasti. Quasi tutti cercano di mangiare velocemente per fare un riposino con la testa poggiata sui tavoli prima di riprendere il turno. Il riposino dopo pranzo è una tradizione in Cina, spiegano quelli della Foxconn al giornalista dell’ABC, facendo intendere che i lavoratori che dormono non sono tutti stanchi morti per via del lavoro. Finito il turno giornaliero, gli operai si possono ritrovare nelle aree comuni dello stabilimento, dove possono usare una serie di iPad come quelli che costruiscono, seguire corsi di formazione di vario tipo o fare sport all’aperto. Le stanze dei dormitori, quelli con le reti alle finestre per evitare i suicidi, sono affollate e non sempre confortevoli.
In buona parte dei paesi in cui vengono acquistati gli iPad e gli altri prodotti Apple simili condizioni di lavoro sarebbero probabilmente improponibili, ma per come vanno (purtroppo, sia chiaro) le cose nelle aziende cinesi si tratta di standard più che accettabili. Per rendersene conto basta lasciare gli stabilimenti della Foxconn e andare nei villaggi a qualche chilometro di distanza, come hanno fatto quelli di Nightline. Le abitazioni spesso cadono a pezzi, le famiglie vivono in unici stanzoni scalcinati e si aggiustano come possono, con lavori occasionali. Non stupisce quindi che davanti ai cancelli della Foxconn si ritrovino migliaia di ragazzi nei giorni in cui l’azienda assume nuovi dipendenti. Entrare lì dentro significa massacrarsi di lavoro, ma al tempo stesso avere uno stipendio sicuro e la possibilità di mettere da parte qualche soldo. I candidati sono tutti giovani, molti di diciassette anni, e arrivano da diversi distretti della Cina, pronti a trasferirsi lì e a non tornare per mesi a casa.
Insomma, non so di preciso perché mi sia messo qui a raccontarvi queste cose, forse per condividere una strana sensazione, che non è imbarazzo o vergogna (ma un poco ci si avvicina), che ho provato guardando il reportage di Nightline. Mi ero occupato di diversi articoli in tema nelle ultime settimane, ma vedere la stessa cosa raccontata per immagini ha avuto un effetto diverso. Sembra di essere davanti alla storia raccontata da un romanzo sociale, di Dickens o giù di lì, con la consapevolezza che quella della Foxconn è una fase e che le cose non potranno andare avanti a lungo così. Il momento di un riscatto per i protagonisti di questa storia potrà, però, arrivare se si impegneranno in primo luogo i produttori di dispositivi tecnologici a rivedere il modo in cui gestiscono i propri affari con le catene di produzione in Cina. Tim Cook, l’amministratore delegato di Apple, si è impegnato a fare più controlli e a fare meglio, aggiungendo che loro “non sono fatti così”. La società ha costruito il suo successo sull’idea di pensare diversamente e non ha (quasi) mai deluso, in effetti.