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E le cicale

Caldo pomeriggio d’estate, attraverso un parco cittadino con un’amica chiacchierando del più e del meno mentre qualcuno cerca di sfuggire al caldo disteso sotto le fronde degli alberi, un gruppo di ragazzini gioca vicino a una fontana e il tizio che vende gelati fa affari d’oro. Non c’è un filo di vento e l’afa cancella qualsiasi rumore come fa la neve nelle brevi giornate d’inverno. Si sente solo il canto incessante e instancabile delle cicale e la cosa mi sorprende: siamo in un fazzoletto di verde assediato dalla città vuota, eppure una intera orchestra di questi insetti non la smette un istante di suonare come se ci trovassimo nel mezzo di uno sterminato campo nella Bassa o in Louisiana.

Continuo a camminare e penso a quanto si addica la storia della cicala, oziosa e procrastinante, e della formica, operosa e stakanovista, a questi giorni. A un paese come il nostro, che certo non è fatto solo di cicale, ma che forse nel campo ad ascoltare il loro canto ci è rimasto un po’ troppo a lungo e ora è in preda allo stordimento e non sa più come ripartire. Rischiamo il tracollo finanziario, mezzo mondo ci implora di fare riforme serie e dolorose, che diano frutti anche nel medio periodo e, invece, nonostante gli annunci ci apprestiamo a prendere le solite scorciatoie per fare cassa in fretta senza affrontare i problemi che ci portiamo dietro da decenni.

La faccenda delle cicale mi ha ricordato un passaggio di “Nestore e la cicala”, una delle Favole di Libertà di Antonio Gramsci, che avevo letto chissà quando e che ho recuperato:

Nelle afose serate di agosto, il frinire infinito dell’infecondo animaletto contribuisce a riempire l’etere di torpore, di languidezza, di abbandono. Sembra la voce della terra che assorbe nel suo grembo inturgidito dal solleone e dagli acquazzoni tutte le sue creature. E gli uomini si lasciano ammaliare e dormono tranquilli e buoni.

Ho l’impressione che il nostro paese sia ancora in quella fase, ma sarei molto felice se riuscisse a evitarsi un brusco risveglio al cardiopalma. Dovremmo riuscire a svegliarci per conto nostro, come immaginava lo stesso Gramsci un bel po’ di tempo fa:

Noi, che nel nostro animo abbiamo domato la tendenza all’idillio georgico, finiamo con l’averne abbastanza della cicala e della sua intimità che rompe i timpani.

Addendum
Non è strettamente necessario, ma le cicale a un certo punto potremmo anche decidere di mangiarcele. Pare abbiano un sapore squisito che ricorda molto quello degli asparagi. E poi gli esemplari di alcune specie sono grandi quanto un Buondì Motta.