Ho deciso che si chiama Pietro. È seduto davanti a me, avrà trentacinque anni, forse qualcosa di meno, e ha tutte le caratteristiche dell’impiegato pendolare: le occhiaie, un completo scuro, camicia azzurro chiaro, cravatta blu e valigetta per il laptop. Lei, invece, si chiama Giorgia e non me lo sono inventato: Pietro l’ha chiamata per nome. Mi ha chiesto di far cambio di posto per stare vicino a lui quando sono saliti sul treno e così dal 71 sono passato al sedile 75. Giorgia ha gli occhi chiari, qualche anno in più di Pietro e qualche occhiaia in meno. Continua a guardarsi intorno. Sembra in ansia.
Chiacchierano del più e del meno, criticano una certa Stefania del reparto vendite e salta fuori che sono colleghi di lavoro. Lei non si sporge mai dal sedile, lui invece per rispondere le si avvicina sempre. Poi smettono di parlare e si tengono per mano, ma mica si guardano. Il “Biglietto, signori” del controllore fa sobbalzare lui e arrossire lei. Poi l’unico emblema di ordine e autorità a bordo sparisce in un altro vagone e Pietro e Giorgia viaggiano abbracciati.
Quando le suona il cellulare si stanno baciando. Pietro sbuffa, lascia la presa e si mette a leggere una rivista. Ciao amore, dice lei, schiarendosi la voce. Lui alza gli occhi al cielo e fa tamburellare le dita sul tavolino. Non sai quanto mi manchi, dice lei, sai che ti pensavo proprio adesso? Sei già lì, che bello. Pietro chiude la rivista e guarda la notte dal finestrino. Anche io, dice lei, e poi mette giù. Giorgia si avvicina, Pietro non la guarda.
Mi alzo dal sedile ché Porta Susa è vicina e devo scendere. Faccio un cenno e mi allontano verso l’uscita. Poco dopo arriva anche Giorgia, fruga in una tasca del cappotto, tira fuori un paio di cuffiette, poi qualche spicciolo e infine un fazzoletto di stoffa. Recupera un anello e lo infila al dito. Gliel’ha regalato Carlo, ho deciso che si chiama così, e tra poco lo rivedrà sulla banchina. Giorgia gli darà un bacio e andrà via con lui, che non è Pietro.