Mike Bongiorno è morto poche ore fa. Un poco americano e un poco torinese, Mike era qualcosa di più di un semplice amico mediale. Non c’era una sostanziale differenza tra il personaggio offerto dallo specchio sporco della realtà e ciò che Bongiorno era nella realtà. Ed era proprio questa uniformità della persona e del personaggio a renderlo amato da milioni di telespettatori, ma anche mal sopportato da quanti lo ritenevano pedante e incapace di trasmettere simpatia.
Sul fronte maggiormente intimo e personale, invece, la recente autobiografia La versione di Mike offre un ritratto completo e affascinante di un uomo che ha attraversato un conflitto mondiale, la prigionia, i difficili anni della ricostruzione e il successo mediatico mantenendo nello spirito l’imprinting del sogno americano. Un sogno realizzatosi qui, oltre l’oceano, in Italia.
pierbacco
E così se n’è andato. Ricordo la prima volta in cui lo vidi in TV. A casa la televisione non c’era ancora, ma all’appuntamento con il tubo catodico che trasmetteva in un incerto bianco e nero «Lascia o raddoppia» non si poteva mancare. Ed ecco la famigliola in un bar di via Cernaia, con il grande televisore color mogano posto molto in alto. Ricordo il fumo che saturava la saletta e il gusto della gazzosa che la mamma mi aveva offerto. Ricordo soprattutto quel giovanotto con i capelli a spazzola che bucava il video. Era lui: il grande Mike.
In paradiso avevano bisogno di sentirsi dire: «Allegria!» e l’hanno chiamato.
Pierbacco