How do you say “rabbit” in Italian? chiese Mr O’Toole. Non poteva chiamarsi altrimenti. Era irlandese.
Era l’estate del 1997 e mi trovavo in Irlanda in vacanza studio con A., l’amico di sempre. Appena giunti nella piovosa Dublino, il gruppo di studenti di cui facevamo parte fu diviso tra le famiglie che ci avrebbero ospitato per le due settimane seguenti. A noi toccarono gli O’Toole, famigliola tipicamente irlandese composta da almeno tre figli. Dico almeno perché nel corso di tutto il soggiorno né A. né io fummo in grado di capire con esattezza quanto numerosa fosse la prole dei coniugi O’Toole, e probabilmente poco ci interessava.
Il viaggio in auto verso la nostra nuova casa fu più traumatizzante del previsto. Abituati alla pronuncia della nostra professoressa di inglese, una newyorkese doc, non capimmo praticamente nulla di cosa Mrs O’Toole andasse blaterando mentre il marito grufolava alla guida. Ci limitavamo a qualche “Yes” e “No”, destando talvolta la curiosità della nostra ospite, che ci fissava con i suoi occhi azzurro ghiaccio, appena nascosti dalla sua chioma rossiccia.
Solo qualche giorno dopo capimmo che quel lungo discorso di Mrs O’Toole non era altro che una dettagliata spiegazione su come raggiungere il college in cui avremmo seguito le lezioni. Incredibilmente riuscimmo a non perderci. Quasi mai.
Nonostante la nostra presenza, Mr O’Toole si produceva in sonori rutti dando talvolta l’impressione che l’intera casetta andasse in risonanza a ogni sua eruttazione. Del resto, quella era pur sempre casa sua, perché mai cambiare le proprie abitudini per la presenza di due marmocchi italiani? Il mondo intero doveva sapere che a una certa ora Mr O’Toole si attaccava alle lattine di birra, ciò che rimaneva tra un rutto e l’altro non era degno di nota.
Capelli grigi, lunga barba incolta, Mr O’Toole era un omone burbero che galoppava verso la sessantina con l’indolenza di chi non può far altro che allineare un giorno di vita dopo l’altro senza particolare entusiasmo. Dopo la seconda lattina da mezzo litro di birra, la lingua del panciuto irlandese si scioglieva, trasformando Mr O’Toole in un provetto e biascicante oratore. A. ed io evitavamo accuratamente quel momento, lasciando al piccolo Amanieu, un francesotto in vacanza studio ospitato dalla famigliola, l’incombenza di chiacchierare con il nostro burbero ospite. Ma una sera, il nostro piano di sgusciare via dal salotto per tempo fallì miseramente.
– How do you say “rabbit” in French?
Il piccolo francese si schiarì la voce, attese qualche istante per poi rispondere.
– We say “lapin”.
– Oh, nice!
Pochi istanti dopo, Mr O’Toole volse lo sguardo verso di noi, chiedendo nuovamente come si dicesse “rabbit”, ma questa volta in italiano.
– And what about you? How do you say “rabbit” in Italian?
All’unisono, come i nipotini di Paperino, A. ed io pronunciammo il nostro telegrafico verdetto:
– Coniglio.
Mr O’Toole ci guardò con la stessa curiosità con cui un entomologo osserva una nuova specie di bacarozzi appena scoperta. Tracannò una sorsata di birra, eterna, e ci chiese di ripetere. We say “coniglio”, dissi al burbero interlocutore scandendo bene il nome italiano dell’orecchiuto roditore. Mr O’Toole fece un mezzo sorriso di sufficienza, si schiarì la voce è provò a ripete.
– Co-con.. Connillio?! Oh, no, no, no… weird language.
Sbuffò sopprimendo per una volta un rutto, ribadendo ancora una volta quanto bislacca fosse la nostra lingua.
Nonostante fossimo un poco piccati per il trattamento riservato alla lingua di Dante, nessuno di noi due ebbe il coraggio di dire all’estemporaneo interlocutore che in Italia il connillio solitamente lo mangiamo.