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Affogo!

Seguendo il vostro formidabile intuito, provate a indovinare: chi è uscito tronfio di casa rigorosamente a piedi appena in tempo per beccarsi il più grande nubifragio abbattutosi su Torino negli ultimi mesi? Presente!

Colto dalla forza incontenibile della Natura, ho affrontato gli elementi armato di un minuscolo ombrello pieghevole; un riparo psicologico ottimo per una pioggerellina primaverile, non certo per il monsone che si è abbattuto sulla città. Sfruttando i lunghi portici torinesi sono riuscito a evitare i prodromi della tempesta, anche se inspiegabilmente riusciva a piovere anche sotto le arcate ottocentesche di via Cernaia.
Il problema si è presentato in tutta la sua drammaticità quando si è trattato di attraversare i giardini Lamarmora, che spezzano la rincorsa degli archi che corrono lungo la via. Ho così constatato come l’atteggiamento verso la forza incontrastabile di Giove Pluvio inneschi un pensiero (il)logico suddiviso in tre parti, come il migliore dei ragionamenti triadici Hegeliani.

  1. Rimozione: “Ma dai, non piove poi così tanto e poi ho il mio fido ombrello pieghevole. Basta fare attenzione alle pozzanghere ed è fatta. Sì, piove un poco di stravento, ma modulando opportunamente l’inclinazione dell’ombrello posso farcela in scioltezza. Vado!”
  2. Consapevolezza: “Cacchio, sono completamente fradicio. Potevo starmene tranquillo sotto i portici a osservare per ore le vetrine dei negozi e invece eccomi qua: l’Indiana Jones metropolitano dei poveri contro i monsoni subalpini.”
  3. Accettazione: “Beh dai, poteva andare peggio. A parte l’equivalente di due lattine di coca-cola di acqua nei piedi non sono poi così zuppo. E pazienza se i jeans impregnati d’acqua rendono le gambe pesanti quanto quelle della Sora Lella buonanima.

Tornando fradicio verso casa, mentre ormai stava spiovendo, ho tratto numerosi insegnamenti dalla mia pluviomachia: