Tim Noble e Sue Webster sono due buoni esempi del filone artistico della “Trash Art”. Le loro opere d’arte più famose sono ricavate da una semplice accozzaglia di rifiuti, messi insieme in particolari montagnole di immondizia apparentemente informi. È poi la luce a dare un senso: grazie a un banalissimo faretto, la montagnola di rifiuti svela il suo significato proiettando nella sua ombra un’immagine altrimenti invisibile all’occhio umano.
L’ombra dell’immondizia è la testimonianza della società del consumo, dell’usa e getta. Sulla parete appare la rappresentazione della vera anima delle cose, di tutto ciò che rappresentavano prima di diventare una massa indistinta e maleodorante. Gli oggetti recuperano il loro significato originario, ma solo in un’illusione fatta di luci e ombre.
Pierbacco
Du Champ e il suo orinatoio, Piero Manzoni e le sue scatolette fecali. Ora l’immondizie. Direi che il processo evolutivo dell’arte ha un miglioramento, almeno attraverso le materie trattate.
Anche lo scolabottiglie esposto a Rivoli non è male, dal buio ipogeo enoico alla luce del museo.
Non vorrei essere un moralista antiquato, ma non sempre è facile capirli, questi artisti contemporanei, e non certo per le loro realizzazioni.
Pierbacco