Stavo cercando un posto tranquillo per morire. Qualcuno mi raccomandò Brooklyn e così la mattina dopo partii dalla contea di Westchester e andai fin là per fare un sopralluogo. Non ci tornavo da cinquantasei anni, e non ricordavo nulla. I miei genitori avevano lasciato la metropoli quando avevo tre anni, ma l’istinto mi richiamò nel quartiere dove avevamo vissuto, trascinandomi come un cane ferito verso il luogo natio. […] Non avevo idea di chi fossero i miei vicini e non me ne importava. Lavoravano tutti dalle nove alle cinque e nessuno aveva bambini, quindi il palazzo era relativamente silenzioso. E io, questo desideravo più di ogni altra cosa. Una fine silenziosa per la mia vita triste e ridicola.
Scampato al cancro e con un matrimonio finito alle spalle, Nathan Glass torna nella sua città natale completamente svuotato e senza alcuna aspettativa, se non quella di passare i suoi ultimi anni di vita in tranquillità.
Il caso invece ha ancora in serbo qualche sorpresa per l’ex assicuratore appena tornato a Brooklyn. Con il casuale incontro di Tom, il nipote dalle mille speranze svanite, la lieve brezza di una vita tranquilla si tramuta presto in un vento impetuoso e sferzante, come quello che spira perennemente sulle rive del fiume Hudson su cui si affaccia Brooklyn. Il giovane nipote catapulta Nathan in una caotica e variopinta avventura in cui le vicende di un libraio falsario si intersecano con quelle di una nipotina comparsa dal nulla e ancora con gli amori senza né capo né coda di Tom, in un vortice di sana follia contemporanea.
Il romanzo è una dichiarazione di amore di Auster per la letteratura. L’intero racconto è disseminato di brevi accenni e citazioni a scrittori di tutti i tempi come Wittgenstein, Joyce, Balzac, Melville, Dickinson, Flaubert, Wendell Holmes, Longfellow, Hawthorne, Poe, Whitman, Mallarmé, Keats, Whittier, Marlowe, Leopardi, per citarne solo alcuni tra i tanti che ricorrono tra le pagine del libro.
Desidero parlare della felicità e del benessere, di quei momenti rari e inaspettati in cui la voce dentro la tua testa tace e ti senti tutt’uno con il mondo.
Desidero parlare del clima ai primi di giugno, di armonia e benefico riposo, dei pettirossi e dei fringuelli gialli e degli uccelli azzurri che guizzano oltre le foglie verdi degli alberi.
Desidero parlare dei vantaggi del sonno, dei piaceri del cibo e dell’alcol, di quello che succede alla tua mente quando esci nella luce solare delle due del pomeriggio e senti il caldo abbraccio dell’aria attorno al corpo.
Desidero parlare di Tom e Lucy, di Stanley Chowder e dei quattro giorni che passammo al Chowder Inn, dei pensieri pensati e dei sogni sognati in cima a quell’altura del Vermont meridionale.
Desidero ricordare i crepuscoli cerulei, le languide albe rosa, gli orsi che di notte uggiolavano nel bosco.
Desidero ricordare tutto. Se tutto è chiedere troppo, almeno una parte. No, di più. Quasi tutto, con qualche spazio vuoto riservato ai pezzi mancanti.
Pfd'ac
Non leggo Auster da qualche anno, questo sembra interessante.
ma.ni
Prendo nota…