L’accordo entrerà in vigore non appena saranno terminate le consegne in Giappone delle ultime 50 tonnellate di avorio, provenienti da Sudafrica, Zimbabwe, Botswana e Namibia. Formalmente quest’ultimo carico è costituito esclusivamente da avorio ricavato da animali deceduti per cause naturali. La CITES non ha avuto da eccepire su quest’ultima consegna, rilevando l’atteggiamento costruttivo degli stati africani implicati in questi ultimi anni. Le politiche di controllo contro la caccia di frodo paiono funzionare e le colonie di pachidermi si stano lentamente ripopolando.
Secondo molte ONG e associazioni ambientaliste la situazione è molto distante da quella prospettata dalla CITES. Ogni anno 20.000 elefanti vengono abbattuti per ricavare avorio che, attraverso oscuri passaggi al mercato nero, raggiunge molti stati asiatici e occidentali non autorizzati all’importazione. L’atteggiamento di alcuni stati africani confermerebbe ciò che affermano le ONG. In particolare lo Zimbabwe continua a distinguersi come il paese con il più alto tasso di transazioni illegali per l’avorio.
La tregua di 9 anni potrà costituire un’ottima opportunità per centinaia di colonie di elefanti solo se gli stati africani vigileranno severamente sulla caccia di frodo. Questa sacrosanta fase di "proibizionismo" rischia infatti di acuire ulteriormente il fenomeno del bracconaggio, specie laddove esistono connivenze tra autorità locali e cacciatori abusivi.
C’è da rilevare, infine, che il provvedimento africano ratificato dal CITES non tiene conto dell’altra faccia del problema: i paesi importatori. Intervenire sulla domanda è la sfida che in nove anni le Nazioni Unite possono, e probabilmente devono, vincere.