Sono naturalmente milioni gli italiani che, negli anni, si sono dovuti confrontare con il temuto esame di maturità. Tutto ebbe inizio 84 anni fa, nel 1923, su proposta di Giovanni Gentile che, con non poche difficoltà, aveva rivoluzionato e modernizzato l’intero assetto della Scuola italiana. La valutazione finale dell’esame di Stato doveva non solo verificare il livello di preparazione di ogni candidato, ma anche il grado di maturità critica raggiunta.
Le commissioni dei docenti erano direttamente nominante dal ministro ed erano composte esclusivamente da membri esterni: tre professori (o presidi) di scuole di secondo grado, un docente universitario e un professore privato (sostituibile con una persona esterna all’insegnamento). Anche le sedi per l’esame erano designate dal ministero, nel 1923 furono 79: 40 per i licei classici, 20 per i licei scientifici e 19 per gli istituti magistrali.
Le motivazioni che avevano spinto Gentile a creare un esame di questo tipo non erano solamente di carattere pedagogico, ma anche politico. Il regime fascista, insediatosi da pochi mesi, voleva uno strumento equo, ma in grado di contrastare l’ascesa solitaria della piccola borghesia urbana e di creare una nuova élite dirigente per lo Stato.
Il primo esame di maturità della storia unitaria italiana fu un vero disastro. Nella prima sessione ben il 75% dei candidati risultarono non idonei, tanto da far pensare a qualcuno che la metodologia di selezione fosse eccessivamente severa e inadatta se rapportata alla qualità degli insegnamenti ricevuti. Nonostante il dato sconcertante, e il conseguente malconento, Mussolini difese con convinzione l’esame di Stato: “Ci sono stati strilli e dolori, come è naturale. Se una riforma non lacera degli interessi acquisiti, è una riforma che non lascia traccia” [Mussolini, 1924]. Ma in seguito alle numerose proteste, e alla nascita di appositi comitati, il Duce fu costretto a cambiare opinione sostenendo, appena tre anni dopo, la “necessità di alleggerire il fardello culturale che grava sulle spalle e sullo spirito degli studenti medi”.
Pietro Fedele, il successore di Gentile al dicastero dell’istruzione, semplificò notevolmente l’esame di Stato, aumentando il numero delle commissioni e riducendo considerevolmente i programmi. In epoca fascista altri ministri modificarono ulteriormente il meccanismo degli esami e, nel 1936-7, De Vecchi limitò il programma d’esame agli argomenti studiati nell’ultimo anno scolastico dagli studenti. Durante il periodo della Seconda guerra mondiale l’esame di maturità divenne una semplice formalità.
A conflitto finito, ci pensarono i membri della Costituente repubblicana a riaffermare con forza l’importanza dell’esame, affidando al quinto comma dell’articolo 33 della nascente Costituzione queste parole: “È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale”.
Dunque sotto a chi tocca, e in bocca al lupo!