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Usa e Sudan ai ferri corti

Dopo alcune settimane di riflessione, il governo degli Stati Uniti ha annunciato oggi un severo inasprimento delle sanzioni economiche contro il Sudan in seguito al rifiuto categorico del presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir di concedere l’accesso nel paese a un contingente di pace internazionale per gestire la difficile crisi umanitaria nel Darfur.
Nel comunicato elaborato dall’amministrazione americana si legge: "Bashir deve fermare le violenze e prendersi cura del suo popolo. Gli è stata data l’opportunità di farlo ed in assenza di una sua azione dobbiamo inasprire le sanzioni". Obiettivo primario dei nuovi provvedimenti sarà chiudere i principali flussi di denaro che, attraverso passaggi molto sospetti tra amministrazione e aziende private, finanziano le sanguinarie milizie dei Janjaweed nella regione del Darfur.

Oltre all’inasprimento delle sanzioni già in vigore nei confronti di 100 compagnie sudanesi, cui è vietato qualsiasi rapporto commerciale con gli USA, si aggiungono alla lista nera altre 30 compagnie di proprietà statale, amministrate dal governo di Bashir.
Ma l’iniziativa degli Stati Uniti non è solo limitata a colpire le compagnie "canaglia" del Sudan. Al Segretario di Stato Condoleezza Rice è stato affidato l’incarico di ricercare consensi tra i paesi membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per giungere a una nuova risoluzione contro il Sudan. L’obiettivo è quello di ottenere una richiesta formale da parte del Consiglio nei confronti del governo di Khartoum, per l’ingresso nel paese di un contingente di pace internazionale per gestire la drammatica crisi del Darfur.

La missione di Condoleezza Rice si prospetta, però, molto difficile. Il responsabile cinese per gli affari africani, Liu Guijin, ha fatto sapere che il governo di Pechino si oppone alla proposta statunitense di insaprire le sanzioni previste dall’Onu nei confronti del Sudan. Secondo Guiji, intervenuto in una conferenza stampa, le sanzioni proposte dal governo americano rischierebbero di rendere ancora più difficoltose le trattative con Khartoum. Da bravo diplomatico, però, il responsabile per gli affari africani ha lasciato uno spiraglio di speranza sulle future mosse della Cina nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. L’atteggiamento cinese è cinicamente comprensibile, Pechino è il più grande importatore di petrolio sudanese e in più occasioni ha dimostrato di anteporre i propri interessi economici e di sviluppo al massacro del Darfur.

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+ Per approfondimenti rimando al documentato articolo della Stampa.it di fresca pubblicazione [ore 19].