Dopo la grande manifestazione del 29 aprile e l’impegno costante di organizzazioni non governative e associazioni online, qualcosa sembra finalmente muoversi per porre fine allo stallo sulla drammatica crisi del Darfur.
Nella giornata di ieri il procuratore generale della Corte penale internazionale dell’Aia, Luis Moreno-Ocampo, ha dato notizia della decisione dei giudici di aver emesso i mandati di cattura nei confronti di Ahmad Harun e Ali Kushayb, sottolineando che ora “il governo del Sudan ha il dovere morale di arrestarli”.
Ahmad Harun è l’attuale ministro per gli affari umanitari, mentre Ali Kushayb è uno dei leader delle milizie Janjaweed, il “colonnello dei colonnelli”. Entrambi sono incriminati per 51 capi d’accusa, che vanno dall’omicidio allo stupro, passando per detenzione illegale di civili, persecuzione e tortura.
La decisione è stata presa da una commissione di tre giudici della Corte dell’Aia dopo due mesi di attente e approfondite indagini. Nonostante l’evidenza delle prove che supportano i capi d’imputazione, il governo sudanese ha seccamente respinto l’ipotesi di attuare la procedura di arresto caldeggiata dalla corte inernazionale: “La nostra posizione è molto, molto chiara. La Corte non ha alcun titolo per giudicare e condannare al di fuori del nostro paese nessun sudanese”, ha dichiarato il ministro della giustizia Mohamed Ali al-Mardi mettendo in luce le intenzioni del suo governo. Incalzato dal giornalista dell’Associated Press, che chiedeva se il Sudan avesse continuato la sua sporadica collaborazione con la Corte dell’Aia, il ministro ha poi aggiunto: “Ma quale cooperazione? È finita”.
Ma per Luis Moreno-Ocampo i giochi non sono ancora chiuso: “Questa decisione della Corte penale internazionale non è discutibile e il governo deve rispettarla. Abbiamo concluso un’indagine condotta in circostanze molto difficili e, senza esporre alcun testimone, abbiamo trasformato i loro racconti in prove e ora i giudici hanno confermato la validità di tali evidenze”. Il procuratore ha poi ricordato che, volente o nolente, il governo sudanese è obbligato a cooperare con la Corte dell’Aia, così come stabilito dalla risoluzione 1593/2005 dell’ONU, che ha rinviato al tribunale internazionale il giudizio sui crimini commessi in Darfur. Anche se il Sudan non ha partecipato all’atto costitutivo della Corte nel 1998 a Roma, è comunque tenuto – quale membro dell’ONU – a cooperare con l’Aia rispettandone gli atti formali.
Il governo di Khartoum continua dunque la propria strategia dell’ambiguità. Se da un lato nega l’esistenza di prove concrete nei confronti del suo ministro per gli affari umanitari, dall’altro dichiara di aver posto sotto arresto Kushayb, il “colonnello dei colonnelli”, leader delle milizie Janjaweed. Ma su quest’ultima operazione di polizia sono moltissime le ombre da rilevare. Stando ai più recenti report dell’Associated Press, Kushayb sarebbe stato avvistato più di una volta nei territori del Darfur protetto dalle forze dell’ordine governative.
Valutato il comportamento di Khartoum è probabile, a detta di molti osservatori internazionali, un nuovo intervento dell’ONU per fare maggiori pressioni sul governo sudanese.
Una buona notizia giunge, invece, dall’Italia. Dopo mesi di discussioni e confronti, la Commissione di Vigilanza della Rai ha approvato all’unanimità una risoluzione per riportare in primo piano il dramma del Darfur. La decisione della Commissione rispecchia il costante impegno di Italian Blogs 4 Darfur che, alcuni mesi fa, aveva indetto una petizione in Rete per rompere il silenzio mediatico sulla crisi sudanese. L’auspicio è che, almeno sul servizio pubblico, si torni presto a parlare del Darfur, dei suoi 300.000 morti e dei quattro milioni di sfollati e rifugiati.