La terrificante carneficina di lunedì riporta alla memoria altri episodi simili, sempre negli istituti di istruzione, sia superiore che universitaria, americani. Molti di voi ricorderanno il massacro del 1999 alla Columbine High School in Colorado. In quell’occasione due studenti uccisero 12 coetanei e un insegnante, per poi togliersi la vita una volta circondati dalla polizia. Nel bellissimo documentario Bowling a Columbine, Michael Moore si occupa di quell’agghiacciante fatto di cronaca per affrontare poi il nocciolo del problema: la proliferazione della “cultura colt” negli USA.
Ho avuto personalmente prova di questo modo di pensare legato alle armi, l’estate scorsa entrando in un negozietto di armi di Phoenix, capitale dell’Arizona. Ero entrato per curiosare, ma soprattutto per sfuggire a un sole a picco e ai 47°C del marciapiede. Non c’era un centimetro del piccolo negozio libero da armi da fuoco, si andava dalla semplice pistola da borsetta a veri e propri mitra, passando per bombe a mano e piccoli bazooka.
L’anziano proprietario del negozio mi viene vicino, nota che sto osservando un bel fucile intarsiato e in pochi secondi me lo piazza tra le mani offrendomi la possibilità di “fare due tiri sul retro della bottega”. Molto civilmente rifiuto l’allettante proposta. Il gentile venditore mi dice di non preoccuparmi, che ho una faccia simpatica. Declino ambabilmente e mi rifiondo nel caldo e assolato pomeriggio di Phoenix.
Entro in un piccolo supermarket, per riprendermi dall’incontro e comprare una bella bibita gelata. Noto affianco allo scaffale dei medicinali una vetrinetta. Contiene armi e munizioni. Un signore, sulla sessantina, paga il conto della sua spesa: una coca-cola, un pacco di aspirine e due scatole di munizioni.